Costadilà – che ora ha sede a San Lorenzo, sulle colline di Vittorio Veneto – prende il nome dall’omonima frazione del comune di Tarzo dove, tra i territori collinari di elezione per la produzione del Prosecco DOCG, Ernesto Cattel nell’anno 2005 decise di intraprendere la sua attività di contadino-vignaiolo o, come amava definirsi, di articoltore diventando il pioniere di una vinificazione artigianale e genuina che crede nella potenzialità delle uve autoctone di glera, bianchetta trevigiana, verdiso delle colline dell’Alto Trevigiano. Parlare di Costadilà è come parlare di Ernesto Cattel e viceversa, perché Costadilà è stata ed è tuttora una sua creatura, personificazione della sua filosofia e della sua visione.
Una visione di trasparenza, come le bottiglie volutamente trasparenti che non nascondono i loro lieviti indigeni e il colore torbido ambrato che cambia da bottiglia a bottiglia, una visione che vuole riportare in vita i vecchi valori del podere agricolo a ciclo chiuso, dove non esisteva solamente la vigna ma anche colture frutticole e orticole, assieme ad allevamenti di bestie da cortile e di grande taglia come ovini e suini.
Il tutto in una chiave naturale, con un intervento minimo della mano umana, lasciando quasi allo stato brado le creature che popolavano il suo universo. Così nasce prima il luogo del logo.
Costadilà – che ora ha sede a San Lorenzo, sulle colline di Vittorio Veneto – prende il nome dall’omonima frazione del comune di Tarzo dove, tra i territori collinari di elezione per la produzione del Prosecco DOCG, Ernesto Cattel nell’anno 2005 decise di intraprendere la sua attività di contadino-vignaiolo o, come amava definirsi, di articoltore diventando il pioniere di una vinificazione artigianale e genuina che crede nella potenzialità delle uve autoctone di glera, bianchetta trevigiana, verdiso delle colline dell’Alto Trevigiano. Parlare di Costadilà è come parlare di Ernesto Cattel e viceversa, perché Costadilà è stata ed è tuttora una sua creatura, personificazione della sua filosofia e della sua visione.
Una visione di trasparenza, come le bottiglie volutamente trasparenti che non nascondono i loro lieviti indigeni e il colore torbido ambrato che cambia da bottiglia a bottiglia, una visione che vuole riportare in vita i vecchi valori del podere agricolo a ciclo chiuso, dove non esisteva solamente la vigna ma anche colture frutticole e orticole, assieme ad allevamenti di bestie da cortile e di grande taglia come ovini e suini.
Il tutto in una chiave naturale, con un intervento minimo della mano umana, lasciando quasi allo stato brado le creature che popolavano il suo universo.
Così nasce prima il luogo del logo. Una realtà creata anche per sensibilizzare le
persone riguardo un modello agricolo sostenibile e completamente naturale, un rapporto dove vengono dati alla natura i suoi tempi, senza forzarli, dove la pazienza, il rispetto e le attenzioni sono gli stessi che venivano dati alle persone con cui entrava in contatto.
Il logo, simbolo millenario della cultura celtica, rappresenta la ricerca dell’armonizzazione dell’uomo con il creato. Un simbolo di rinascita, una strada lunga e non lineare che porterà a ritrovare se stessi, ed una volta usciti, si vedrà il mondo con occhi e spirito diversi. La concezione ancestrale di ritrovare l’equilibrio tra uomo e natura viene ripresa e portata avanti con le opere di Ernesto nei suoi terreni, che riecheggiavano di un amore primordiale per tutto ciò che ci circonda, trasudando un amore quasi pagano verso i luoghi dove metteva piede. Costadilà quindi è in tutto e per tutto un’estensione della sua persona, una sua personificazione, che nonostante tutto, resta viva in quei luoghi e in quei saperi che ci ha trasmesso.
“Tradizione è alimentare la fiamma, non adorare le ceneri”.
La gamma dei vini Costadilà è il risultato di una visione e di una prassi davvero artigianali. Vini espressivi, unici, di straordinaria bevibilità, commercializzati in bottiglie di vetro trasparente affinché le diverse tonalità di colore si vedano in trasparenza, “perché nulla si possa nascondere”. I nomi dei vini, classificati come “vini bianchi frizzanti”, indicano le altitudini dei vigneti dai quali provengono le uve: 280slm, 330slm e 450slm. Il viaggio di trasformazione del vino dalla vigna al bicchiere non è mai uguale né prevedibile, molto dipende anche dall’andamento stagionale e dall’evoluzione in bottiglia. Questo, in sintesi, è il racconto di Costadilà, vini vivi, in grado di evolvere, che esprimono la vocazione del vitigno ed il territorio in cui è coltivato.
La gamma dei vini Costadilà è il risultato di una visione e di una prassi davvero artigianali. Vini espressivi, unici, di straordinaria bevibilità, commercializzati in bottiglie di vetro trasparente affinché le diverse tonalità di colore si vedano in trasparenza, “perché nulla si possa nascondere”. I nomi dei vini, classificati come “vini bianchi frizzanti”, indicano le altitudini dei vigneti dai quali provengono le uve: 280slm, 330slm e 450slm. Il viaggio di trasformazione del vino dalla vigna al bicchiere non è mai uguale né prevedibile, molto dipende anche dall’andamento stagionale e dall’evoluzione in bottiglia. Questo, in sintesi, è il racconto di Costadilà, vini vivi, in grado di evolvere, che esprimono la vocazione del vitigno ed il territorio in cui è coltivato.
Che cos’è il vino naturale? Non è semplice riassumere in poche parole un argomento così vasto e complesso.
In questi ultimi anni il movimento dei vini naturali, nato da un gruppo di vignaioli legati alla comune visione di produrre vini sani partendo anche dalla salvaguardia del territorio, ha saputo coinvolgere una nuova platea di appassionati ed esperti che ricercano vini artigianali, non omologati, che sappiano esprimere le specificità del territorio di origine e le differenze prodotte dalla natura nelle singole annate.
Vino naturale è pertanto un’espressione utilizzata e diffusa che identifica una filosofia di produzione. Nel vigneto non vengono utilizzate sostanze chimiche di sintesi, pesticidi o diserbanti, in modo da permettere alla pianta di conservare la sua vitalità. In cantina vengono evitati trattamenti considerati invasivi ed artificiosi. Il processo fermentativo viene attivato con i soli lieviti indigeni allo scopo di interpretare le peculiarità del vitigno ed il rapporto con il luogo, con il minor quantitativo possibile o nullo di solfiti.